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Sandro Parmiggiani
Una casa di stampe d'artista, una casa di persone.
Perché diavolo Roberto Gatti abbia deciso - dopo avere frequentato, in ragione della giovanile passione per il disegno e la pittura, l'Istituto d'Arte Venturi di Modena, in cui operarono insegnanti di straordinario valore, sia come tensione alla ricerca artistica che come esempio umano ed etico dispiegato; Gatti ricorda, in particolare, Enzo Trevisi -, di buttarsi in un'impresa temeraria quale quella di progettare di guadagnarsi da vivere facendo lo stampatore di opere grafiche, per di più senza vantare nessuna tradizione familiare che giustificasse la scelta di una simile attività, è una domanda cui si potrebbero tentare di dare molte risposte. Potremmo, nell'ordine, pensare a quel sentire in cui s'incarna l'unicità delle persone - le aspirazioni giovanili, il segreto germogliare di un talento che, magari seguendo vie tortuose, arriva ad affermarsi -, o, ancora, a un contesto, quello delle province emiliane di mezzo, da Bologna a Reggio Emilia, passando per Modena, nelle quali l'attenzione e l'amore, oggi ampiamente caduti in desuetudine, per l'espressione artistica chiamata stampa, o opera grafica, erano diffusi, ed ancora suscitavano l'interesse e la passione di chi - artista, stampatore, collezionista, mercante - disponeva degli strumenti culturali per riconoscerne i peculiari valori. A queste prime risposte potremmo aggiungerne altre due, legate alla sensibilità etico-civile del tempo: negli anni Sessanta e Settanta, si respirava l'idea che la grafica potesse rappresentare la forma d'arte accessibile a tutti, quella che spezzava le catene del rapporto, fino ad allora ineludibile, tra possibilità di collezionare un'opera d'arte importante e disponibilità di denaro. Inoltre, come poi avrebbe effettivamente dimostrato in tutta la sua trentennale attività, già allora Roberto concepiva l'attività di un laboratorio di grafica come una sorta di "servizio pubblico" con una sua specifica utilità sociale, giacché la sua missione era di mettersi a disposizione degli artisti, delle associazioni culturali, degli enti locali del territorio. Ricorda infine ora Roberto: "io la stampa l'avevo sempre respirata in casa: mio padre faceva il giornalista, capo-redattore della pagina de L'Unità di Modena, e talvolta lui andava a Milano dove c'era la tipografia, e, senza che io mai fisicamente vi avessi messo piede, i suoi racconti mi affascinavano, mi facevano fantasticare, portavano davanti ai miei occhi quelle grandi rotative, quei rulli, da cui, in quell'ambiente oscuro, uscivano i giornali".
Finito il Venturi, Gatti inizia il suo apprendistato di stampatore frequentando, per circa un anno, un piccolo laboratorio-stamperia, Il Torchio Modenese: conosce il mondo della calcografia - le lastre, l'acido, gli inchiostri, la carta, il torchio -, e per sempre se ne innamora. Così, nel 1979, lui e un suo compagno di scuola dell'Istituto d'Arte danno vita - "incoscienti di quello che stavamo facendo, giacché non conoscevamo le tecniche professionali di stampa": dunque, in un qualche modo Roberto e il suo amico si buttano in acqua senza sapere nuotare - alla Stamperia d'Arte Il Cerchio, nel centro di Modena, in via Servi, un'esperienza che dura cinque anni. Quel periodo risulta fondamentale proprio per la progressiva acquisizione di una sempre più acuta consapevolezza che occorrevano ben altre competenze di quelle che i due all'epoca possedevano... Alla chiusura di quella prima esperienza, Roberto, che nel frattempo si è sposato, va a lavorare in una grande azienda grafica di Modena, Arbe, ma non dà addio alle armi dello stampatore: porta l'unico torchio della stamperia nella cantina di casa sua, perché non ritiene affatto finito il suo viaggio nella grafica. Scrive una lettera a tutti i pittori di Modena, annunciando che l'esperienza de Il Cerchio si è conclusa - la cessazione dell'attività viene suggellata da una mostra delle opere della stamperia, significativamente intitolata "Sospesa" - ma che l'attività di sperimentazione e ricerca continua: chi lo desideri può bussare alla porta del piccolo laboratorio finito in cantina, ma ancora vitale nell'arte della grafica. Dopo un paio d'anni, in cui Roberto va pure costruendosi una più completa professionalità, lui e la moglie, Anna Maria Piccinini - che avrebbe rivelato un proprio straordinario talento per quel mestiere, per la sua "sensibilità" nella preparazione delle lastre e nel processo di stampa, e così in un qualche modo riproponendo l'esperienza romana di Valter ed Eleonora Rossi -, aprono, nell'attuale sede di via Verona, il Laboratorio d'Arte Grafica di Modena, nella cui denominazione vengono non casualmente evocati l'esplicita appartenenza a una realtà, ed i legami, soprattutto umani, con essa.
"Trent'anni di attività", riconosce ora Roberto, "sono un traguardo insperato: la stamperia è cresciuta parecchio, partendo dal nulla, e oggi dà lavoro, oltre a me, a mia moglie e a mio figlio, a una o due persone a seconda dei momenti". Inoltre, "la stamperia ha saputo attirare collaborazioni di grande prestigio - Paladino, con cui lavoriamo dal 1993, Dorazio, Tilson -, anche se cresciuta in un contesto non paragonabile a città come Roma o Milano, che godono di ‘bacini di utenza' sostanzialmente diversi, e il Laboratorio ha avuto una funzione di stimolo: molti artisti di Modena e delle province circostanti sono stati coinvolti, indotti a esprimersi con strumenti ai quali mai si erano prima avvicinati". Non sorprende allora che il Laboratorio di Roberto ed Anna Maria Gatti abbia in questi anni stampato un migliaio di lastre - gli artisti che ne vantano un maggior numero sono Della Casa, Paladino, Bertelli e Vaccari.
La scarsa considerazione che oggi circonda l'opera grafica - esito anche della disinvoltura, della mancanza di serietà professionale e della brama di guadagno che ha coinvolto per decenni, e tuttora in qualche caso, ciascuno degli attori della scena (artista, stampatore, mercante) - e la progressiva riduzione e marginalizzazione, soprattutto in Italia, del mercato della grafica - non c'è stato nessun ricambio generazionale in questo segmento colto del mercato dell'arte - sono sotto gli occhi di tutti. Altre cause hanno contribuito a questo declino: il collezionismo italiano soffre di una incapacità, che potremmo definire strutturale - se pensiamo a ciò che la scuola non sa fare, non certo sostituita nelle sue funzioni da altri strumenti formativi e informativi, a partire dalla televisione -, nel valutare appieno il processo che, attraverso l'intervento di più attori, porta alla realizzazione un'opera grafica, e il suo intrinseco valore, tanto più che buona parte di esso diffida, ha una sciocca idiosincrasia per questo supporto pure capace di attraversare gloriosamente i secoli.
Occorrerebbe che chi passa accanto a un'opera grafica senza "vederla", avesse l'opportunità di frequentare il Laboratorio di Roberto e Anna Maria Gatti, verificasse la loro sensibilità umana e professionale, che li porta a instaurare una strettissima collaborazione con l'artista, che spesso arriva a farsi nel tempo amicizia. Soprattutto, verificherebbe quanto sia importante e fondamentale il ruolo dello stampatore per permettere all'artista, che ovviamente non può essere presente durante tutte le fasi della lavorazione, di giungere a certi esiti, risolvendo problemi che altrimenti sarebbero stati per lui insuperabili, mettendo a sua completa disposizione un "saper fare tecnico", condividendo segreti e scoperte, dando consigli che riguardano ogni fase del processo, avendo la capacità di tradurre nei caratteri propri dell'opera grafica una visione che magari resta fortemente ancorata ad altre tecniche. Insomma, l'opera grafica che se ne sta sotto i nostri occhi non è solo frutto della creatività di un artista, ma del bagaglio di conoscenze e di intuizioni di uno stampatore: quell'opera è firmata dall'artista - e ciò è spesso la fonte del valore aggiunto che essa reca, oltre ai costi di stampa - ma sarebbe giusto che, come si faceva anticamente, fosse menzionato pure, al di là del timbro a secco che spesso appare sul foglio, il nome dello stampatore.
Gatti ha cominciato l'attività quando il boom della grafica già si stava sgonfiando. Eppure, ha tenuto la barra dritta, non si è mai fatto incantare dalle seduzioni di un facile guadagno, ha tenacemente costruito e difeso l'identità di un Laboratorio che non si è prestato a facili scorciatoie che pure la tecnica rende disponibili, ma che invece ha adottato procedimenti di fatto inalterati rispetto a quelli che segnarono la nascita della stampa secoli fa. Chi conosce e frequenta la "casa della stampa d'artista" dei Gatti sa che, nel loro fare, ci sono una sobrietà di comportamenti, una dignità umana, una tenacia propria di chi non s'arrende alla deriva, di chi si sente personalmente responsabile di dovere portare rispetto a chi acquisterà una delle opere grafiche realizzate nel loro Laboratorio, in cui ogni fase, dal momento dell'incisione della lastra alla firma della tiratura, con un controllo finale di qualità foglio dopo foglio, è sempre rigorosamente controllata. Appartengono, i Gatti, a una "Italia che non c'è" - per parafrasare Lewis Carroll e per denunciare la stupidità diffusa che esalta ben altri modelli di vita -, ma quello che esce dal loro Laboratorio è frutto di sentimenti e valori, propri del vivere e del fare, di cui non dobbiamo perdere la semenza, se ancora possiamo ostinarci a immaginare e sperare un futuro diverso.